giovedì 30 ottobre 2008

Dal mito all’ecologia conoscere per salvare il nostro pianeta



L’Isola che non c’è – il continente di plastica



Navigare nelle incontaminate distese oceaniche alla ricerca del continente perduto di Atlantide, o magari seguendo la seconda stella a destra trovare l’isola che non c’è? Purtroppo no.
Navigando nelle incontaminate distese oceaniche, un velista partito da Los Angeles devia la rotta per giungere in tempo alla partenza di una regata nelle Hawaii e s’imbatte in un’immensa distesa di rifiuti (per l’80% di plastica). Attraversa questo ammasso melmoso per un’intera settimana. Era il 1997 e aveva scoperto il “Continente di plastica” quello che oggi gli oceanografi chiamano Pacific Trash Vortex.
Il nuovo “continente” ha iniziato a formarsi, negli anni ’50 e si è esteso con la stessa velocità con cui la plastica invadeva le nostre vite; oggi ha un diametro di 2500 chilometri (una volta e mezzo la lunghezza dell’Italia c.a.), una profondità di 30 metri ed il suo peso ha raggiunto 3,5 milioni di tonnellate. "E' come se fosse un'immensa isola nel mezzo dell'Oceano Pacifico composta da spazzatura anziché rocce” scrive Chris Parry del California Coastal Commission di San Francisco dopo essere tornato da un sopralluogo.
Nel mezzo del Pacifico, tra Stati Uniti e Giappone, si è dunque formata, data la presenza della North Pacific Subtropical Gyre (lenta corrente oceanica che si muove in senso orario a spirale) la più grande discarica del nostro pianeta.
Bottiglie, piatti, contenitori per detersivi e quant’altro la nostra civiltà del consumo sfrenato scarti, hanno trasformato quel tratto di oceano in un’orrenda fanghiglia priva di vita che continua a crescere e, a volte, seguendo le correnti raggiunge le coste delle isole Hawaii ricoprendone le spiagge.
Sono dunque bastati poco più di 50 anni all’uomo moderno, trasformatosi in novello demiurgo, per far sorgere un nuovo continente e ce ne vorranno invece ben 500 perché l’ecosistema naturale se ne possa sbarazzare.
E pensare che in fondo la quantità di rifiuti lì concentrata è appena un terzo di quella prodotta in un solo anno dai paesi della Comunità Europea (300 milioni di tonnellate!) è un dato impressionante!
Che fare, quindi, per evitare di trovarci tra pochi anni a nuotare tutti in un mare di rifiuti? Che cosa può fare ciascuno di noi come singolo individuo?
Indignarsi per prima cosa! Indignamoci perché a queste notizie i grandi media riservano uno spazio praticamente nullo! perché i potenti del mondo affrontano questi temi solo con vuote parole e per la generale indifferenza di fronte al grido di aiuto che la Madre Terra sta inviando a tutti noi se solo lo volessimo ascoltare.
E ancora, impegniamoci a diventare singolarmente, ognuno di noi, strumento d’informazione e cerchiamo nella vita di tutti i giorni di intervenire! Come? Ad esempio applichiamoci con costanza nella raccolta differenziata, chiediamo che nei nostri supermercati venga adottata la vendita dei detersivi alla spina e che l’acqua torni ad essere venduta in bottiglie di vetro con vuoto a rendere... Piccole cose forse che se fatte da molti diventano però grandi.

Roberta Martino


FONTI RINNOVABILI – QUALI PROSPETTIVE?

I puntata

Petrolio e Biocarburanti

Petrolio, che dire, in passato mi sentivo ricco a pensare che le mie origini provengono da un paese (l’Arabia Saudita) che ne produce e ne ha prodotto tanto, ora sento un senso di fastidio a vedere la mia terra di origine ostinarsi nel gioco politico dei rincari e della compravendita dei barili. Mi infastidisco ancor di più a pagare un derivato dell’oro nero (la benzina) cosi tanto essendo costretto, causa l’inefficienza dei mezzi pubblici, a prendere la macchina per raggiungere un parco e poi ritrovarmi in mezzo a un mucchio di bottiglie e buste di plastica abbandonate che ne avviliscono la bellezza. Rimpiango i tempi in cui il vuoto a rendere era una ragione di vita per i senza tetto e le buste di carta davano un tono romantico alla spesa quotidiana. Inoltre è noto che i contenitori in plastica (derivato del petrolio) esposti a fonti di calore rilasciano particelle che contaminano il prodotto alimentare e che in tutti i depositi, troppo spesso, si trova una grande quantità di bottiglie esposte al sole ( prassi molto comune anche nei supermercati).
Ma torniamo alla diatriba della benzina e derivati del petrolio; ormai non esistono più scusanti, le automobili ed il riscaldamento possono essere alimentati da fonti rinnovabili. E’ recente la scoperta che i batteri possono trasformare a livello enzimatico gli scarti agricoli in combustibile. L'Università del Wisconsin, insieme al National Science Foundation, ha annunciato le scoperte che cambieranno il futuro dell'energia: lo zucchero e i carboidrati possono essere processati come il petrolio, producendo così carburante adatto alle automobili. Ultimamente 8 milioni di ettari, che in precedenza erano stati coltivati a mais, cereali vari e soia per realizzare prodotti alimentari e foraggio, sono stati convertiti alla produzione di biocarburanti.
Il 18% della produzione di cereali degli americani è stato usato per ricavarne benzina. Altrettanto è avvenuto anche in Brasile, Argentina, Canada ed Europa Orientale. Il buon senso direbbe che finalmente si fa un passo verso la risoluzione dei problemi del pianeta; ma dietro queste conversioni alla produzione di biocarburanti c’è di nuovo il solito mondo di speculazioni economiche e sfruttamento dell’ agricoltura che nei paesi in via di sviluppo fa rabbrividire! Il costo dei cereali, sul mercato internazionale, è stato modulato in modo da rendere il prezzo delle produzioni dei campesinos latinoamericani ribassato quanto basta per essere preda delle multinazionali che si affacciano sul nuovo mercato dei biocarburanti. (senza contare il disboscamento di zone forestali di ampio interesse ecologico che verranno convertite alla coltivazione dei medesimi).
Considerando il sovrasfruttamento umano e delle foreste pluviali ci chiediamo se un passo avanti per l’ecologia del pianeta debba necessariamente comportare l’ennesimo passo indietro nel rispetto dei diritti umani. Siamo stanchi di vedere costantemente gli stessi errori!!
Kareem Elkhweet

I MITI LEGATI ALLA MADRE
Gea, Cibele, Astarte e ancora molte altre divinità hanno personificato la Terra. Ve ne racconteremo le storie e cercheremo poesie antiche e moderne per rievocarne la memoria.

Gea la grande Dea della Terra
A cura di Rossana Miti


"Canterò Gea, madre universale, dalle salde fondamenta,
antichissima, che nutre tutte le creature del mondo".
Inni Omerici


Prima del tempo, prima dello spazio era solo il Caos indifferenziato e da esso d’un tratto nacque Gea, potenza originaria della vita, dopo di lei ecco manifestarsi Eros l’amore cosmico, Tartaro l’inferno, Euribe l’infinita notte e i Giganti simboli delle forze insite nella natura.
Da sola Gea genera Ponto il mare e Urano il cielo stellato sceglie il Cielo come sposo e gli dà dodici figli i Titani sei femmine (Tea, Rea, Temi, Teti, Febe, Mnemosine) e sei maschi (Oceano, Ceo, Crio, Iperione, Giapeto, Crono), aveva così dato origine alla stirpe divina e a tutto il creato. (Mito Olimpico)

" Inno alla terra"
"I miei piedi affondano nella terra come radici succhiano vita. Terra – Dea – Madre - Donna
come lupa ululo contro il vento per te che soffri violentata soffocata.
Dal tuo utero sono stata partorita come un animale selvaggio sento di appartenerti.
Né case, né strade asfaltate, né luci, né agi mi possono distogliere.
Grido per te che sei mia madre e cerco di difenderti con i miei artigli di lupa di madre di donna
da questa lenta agonia cui ti abbiamo condannato. Terra Dea Madre... "
di Margherita Tranquilli